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LXXX
Del valor vostro ed alta cortesia,
magnanima, gentil, real Signora,
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ciò che la Fama va gridando ognora
con mille lingue, e fa che noto sia, 4
mirabil è; ma certo quel che pria
n udi a par di quel che si vede ora,
è nulla o poco, e veramente fora
qual chi le stelle al sol oppor desìa. 8
Non soddisfate sol a ciò ch aspetta
ogni disir uman da vostra mano,
ma prevenite quest e quel desìo. 11
O mente saggia, o spirto sovr umano,
o donna rara al mondo, alma, perfetta,
che quanto più si può rassembri a Dio. 14
LXXXI
Canti chi vuol di voi, che nata sète
d antichi Regi chiari e glorïosi;
altri che di natura i sensi ascosi
filosofando, come son, vedete; 4
altri che di Corvino foste moglie,
e que regni reggeste con tai modi,
che mai tenzone non vi fu, né lite;
altri la vostra castitate lodi,
i pensier saggi e le modeste voglie,
e tante grazie in voi dal ciel unite. 10
Son vostre doti rare ed infinite,
son qual arena almar, al maggio i fiori.
Ma chi sarà che spieghi i grandi onori
che d esser sì cortese al mondo avete? 14
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LXXXII
È questo il glorïoso, sacro e altiero,
venerando sepolcro di Marone,
gloria di Cirra e pompa d Elicone,
che tra poeti fu il poeta vero? 4
Ebb egli sulle Muse quell impero,
che al pöetar eccelso ogn uom dispone,
e tal che mai non ebbe paragone,
sì fu sublime, dotto, dolce e intero? 8
O fortunato sovr ogni altro monte,
che già sentisti la divina tromba,
cantante Enea con suon sonoro e sacro. 11
E tu fra l altre più lodata tomba,
l alte cui lodi son famose e conte,
quest edra e quest alloro i ti consacro. 14
LXXXIII
In questo seno di Pozzuolo e Cume,
e dove Baie fur così nomate,
quant alme, quante stanze già son state,
ch ebber di fama glorïoso lume! 4
Il tempo fa che l tutto si consume,
le vite e ancor le cose inanimate;
resta la fama, e bene spesse fiate
chi non l aita ha di morir costume. 8
Che val teatri far, alzar colossi,
forar i monti, e porre al mar il freno,
e soggiogar paesi, e spander l oro? 11
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In breve tempo il tutto verrà meno,
se li purgati ingegni non son mossi
a dargli vita con gli scritti loro. 14
LXXXIV
Il gran terror di Roma, Mitridate,
a bada tenni e fu da me cacciato;
con prestezza Tigrane ho superato,
e tante lor provincie soggiogate. 4
A Parti le saette avrei spezzate,
se chi dovea m avesse seguitato;
e l mar ircano, e l fin dell Asia dato
termine a Roma, no l fecondo Eufrate. 8
Per un de miei migliaia eran nemici,
ma l mio valor valeva tutti quei,
che sen fuggiro, e che restar mendici. 11
Or tu, Pompeo, se detto vittor sei
di tanti Re, non sai le lor radici
esser tagliate pria dai ferri miei? 14
LXXXV
I mi credea partendo da Sebeto
la grandezza fuggir del vostro core,
ma l animo real a tutte l ore
qual è si mostra pubblico e segreto. 4
Ch u Bacco regna così dolce e lieto,
e già Vesevo empí d orrend ardore,
u Silaro a Salerno presta umore,
e con Pomona e Flora stassi quèto, 8
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la liberal, cortese ed infinita
vostra grandezza mai non m abbandona,
ma più si mostra ognor profusa e larga. 11
Quando sarà che un giorno in Elicona
Febo mi meni, e doni tant aìta
che vostre lodi i canti e al mondo sparga? 14
LXXXVI
Quando sarà che gli occhi, Amor, appaghi
della fatal, divina lor viva esca,
quando che i passi fermi, che coi maghi
atti leggiadri la tua face adesca? 4
Felice Endimïon, ch i lumi vaghi
tanto godesti in l amorosa tresca,
e tu, Leandro, che i marini laghi
lieto solcasti all aura dolce e fresca, 8
i per me privo dell amata vista,
ch alluma e scalda il mondo freddo e cieco,
erro piangendo travagliato e lasso. 11
Dunque, se grazia mai da te s impetra,
Amor, perché non fai, ch un giorno seco
mi trovi ed indi mai non mova il passo? 14
LXXXVIII
Non era assai, Regina, quant hai fatto
in tanti e varii modi a dimostrarme
che troppo se cortese, senz or farme
sì real, generoso e nobil fatto? 4
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Se ricca perla Clëopatra ha sfatto,
per un amante fu; ma Tu per darme
contra l velen aìta, fai donarme
ricco smeraldo in polve a ber disfatto. 8
Quella d amor lascivo ardendo a tale
la perla diè che fu di lei signore,
con speme di tener l antico regno. 11
Tu mossa sol da generoso core,
a me che nulla vaglio infermo e frale,
di grandezza real doni tal pegno. 14
LXXXIX
Anima afflitta, che così sovente,
come ti sforza il forte mio desire
ov è madonna gire
hai per usanza e seco star in gioia; 4
se senza te mi trovo in un repente,
e resto morto, come posso dire
ch io soffra allor martire,
e che vivendo ognor, ahi lasso, i moia? 8
Qual dunque, oh strano caso, duol m annoia,
se teco i sensi miei ne porti ancora?
Allor dove dimora
con tanti affanni il fido mio pensiero,
che così morto fa ch io vivo e spero? 13
Che dico! o dove sono allor? o l alma,
che queste membra lasci e al vago viso
vai, che da me diviso
m ha con que vivi di begliocchi rai; 17
un certo non so che nel cor s inalma,
sì che mi fa veder il dolce viso,
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che mostra il paradiso
di quanto bel si vide in terra mai. 21
Che fra rubini e perle allor te stai,
ove chi mira mai non langue o more,
ed in sì caro errore
m abbagli, in mille dolci e amare tempre.
Oh me beato, se durasser sempre! 26
Lasso, che poi ne dir so come i veggio,
che vaneggiando vo la notte e l giorno,
ond a me stesso torno
qual che sognando nel più bel si desta. 30
E come di sì dolce error m avveggio,
in così fatta guisa al cor ritorno,
ch aver mi par attorno
folgori e tuoni e lampi con tempesta. 34
E tu stordita, dolorosa e mesta
lasci madonna, e qui tornando trovi
che nulla più mi giovi,
perché stando lontano da colei,
meglio è morir che viver senza lei. 39
Anima errante, s a madonna torni,
con lei ti ferma, e non tornar più meco.
Che mentre tu se seco,
s ogni dolcezza vaneggiando avemo,
resta là sempre, o venga il giorno estremo. 44
XC
Dunque i son vivo ancora
lontan dal vago viso,
che m ha lasciand anciso? 3
I non son vivo, Amore,
da che qui sol restai;
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ch allor l afflitto core
s ascose in que duo rai 7
del sol più vaghi assai,
ove da me diviso
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